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Fiere d'arte e arte da fiera

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Il confine tra la performance artistica ed il fenomeno da baraccone è sottilissimo, sempre più labile.

Nel 2014 Sven Sachsalber, nelle sale del Palais de Tokyo a Parigi, fa “costruire” un pagliaio al cui interno viene nascosto un ago, l’artista italiano si da 48 ore per ritrovarlo e ci riesce in 18.


Per poter definire arte tutto questo potremmo rifarci a Duchamp “è arte se l’opera è scelta dall’artista ed è esposta in un museo o in un luogo deputato all'arte stessa”, ma a questa performance mancano i requisiti.

Non sono il pagliaio o l’ago al centro della scena a destare alcune perplessità ma la ricerca, la "gara" a chi lo trova nel minor tempo, quest'ultimo particolare rende complicata l'idea di definire l’insieme “concettuale”.

Da un altro punto di vista potrebbe prendere in considerazione la "visione proiettata in avanti” ma anche da questo punto di vista la performance è tutt'altro che innovativa.

Chi mi conosce sa che non mi permetterei mai di dare un giudizio definitivo, sono aperto a tutte le nuove proposte artistiche, solo che non riesco a scorgerne una profondità di pensiero, sembra (a me che probabilmente non ho le giuste conoscenze) un rifacimento di qualcosa di “già visto”, come in una vecchia fiera di paese dove il fenomeno di turno scommetteva con gli astanti di essere in grado di fare ciò che sembra impossibile.

Idea artistica sarebbe potuta essere quella che spinge ad andare oltre le scarse probabilità di trovare il fatidico “ago nel pagliaio” senza però che venisse messo in moto il meccanismo di ricerca, se non psicologica.

Cos’ha di artistico un mucchio di fieno (o paglia, con il fieno è più difficile) dove più o meno casualmente (ecco che torna il fenomeno da fiera) viene nascosto un ago e per concludere chi ce lo ha messo scommette di trovarlo entro un determinato tempo?

Qual è il fine ultimo (sempre artisticamente parlando) di tale performance? Non credo che il fatto di riuscire nell’impresa in meno della metà del tempo previsto sia di per sé un’esibizione tale da definirsi “arte”, semmai è una dimostrazione di destrezza, ma anche a questo livello, nel secondo decennio del XXI secolo, “un senso non ce l’ha”.

Mi ricorda quella moltitudine di pittori che danno vita a lavori, talvolta tecnicamente eccelsi, ma che non hanno il crisma dell’opera d’arte per il semplice motivo che al loro interno non hanno un’idea innovativa, un concetto che non sia visto e stravisto (spesso non hanno un’idea e basta).

Certo, almeno questi pittori (o alcuni di loro) mettono in campo una discreta, se non eccellente, tecnica, cosa che il nostro Sachsalber non ci mostra, almeno in questo lavoro, ma alla base c’è sempre l’assenza di un pensiero artistico, quel pensiero che immobilizza e ci impone una riflessione più profonda. Davanti a questa esibizione il primo pensiero è: “l’ago è stato inserito in modo casuale o no? E siamo sicuri che ce ne sia solo uno?”. In poche parole: “dove sta il trucco?”.

Questa è una riflessione che normalmente si fa ad una sagra davanti al classico "baraccone", non davanti ad un’opera d’arte.

Tutto ciò non toglie che io stesso abbia dei limiti di comprensione, dovrò sicuramente applicarmi di più, chissà che il tempo tolga quel velo che mi divide dall’opera, non so se accadrà ma quantomeno me lo auguro.



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