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50 anni in "Compagnia", da Sannia a Vasco passando per Battisti, Parodi e Mina

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La Compagnia, un brano scritto dal duo Mogol-Donida nel 1969 per la voce di Marisa Sannia, passato sotto traccia ottiene una discreta fama nel 1976 quando ad interpretarlo è Lucio Battisti.

La cover del 45 giri originale

Nel 1982 è il gruppo sardo Il coro degli angeli ad inciderlo, due anni dopo tocca ai Tazenda (in entrambi i casi con la voce di Andrea Parodi) nel 1988 tocca a Mina.

Quasi vent’anno dopo, siamo nel 2007, è Vasco Rossi a rilanciare il brano, un pezzo che nonostante il testo e le musiche di grande spessore, oltre all’interpretazione di grandi interpreti, non riuscirà mai a decollare definitivamente.

Lascio ad ognuno il giudizio sulla canzone e mi concentro sulla percezione del pubblico, almeno di chi la conosce, e delle differenti interpretazioni e arrangiamenti che si sono susseguiti in mezzo secolo.

I più giovani partono dal pezzo di Vasco Rossi e andando a ritroso nel tempo rischiano di rimanere spiazzati dalle versioni più soft del passato, chi invece ricorda gli esordi della Sannia fatica a comprendere lo stravolgimento degli artisti che l’hanno eseguita in seguito.

Scritta appunto per Marisa Sannia l’originale mostra gli anni che ha e ci riporta ad un periodo dove erano in atto dei cambiamenti epocali ma dove certa musica italiana sembrava non accorgersi.

Lucio Battisti non ha bisogno di presentazioni, è uno dei più grandi artisti in assoluto ma ascoltando attentamente il pezzo in questione possiamo capire perché non è uno dei suoi pezzi più riusciti, anche i grandi non sono infallibili, questa canzone non è nelle sue corde, si nota uno sforzo innaturale che sminuisce sia il cantante che la canzone.

Nonostante la voce eccelsa di Andrea Parodi anche le versioni dei primi anni ottanta passano senza lasciare segni evidenti, questo conferma (se ce ne fosse stato bisogno dopo Battisti) che il brano è tutt’altro che semplice, o lo si disegna su misura o il rischio è quello di naufragare.

Il primo serio tentativo è quello di Mina, altro mostro sacro, che trasforma la canzone con un arrangiamento blues, dove a tratti veniamo avvolti da un’atmosfera da ballata jazz, in questo caso il pubblico si divide, gli amanti di Mina lo definiscono un capolavoro, i suoi detrattori: “un pezzo da dimenticare”.

Passano 19 anni e a riproporre il brano ci pensa Vasco Rossi, premetto che la mia stima per il cantante di Zocca è vicina allo zero, ma dal mio punto di vista è questa la versione che più mi convince, riesce a dare un’anima ad un pezzo che sembrava averla smarrita, un arrangiamento più rock (per quanto riesca ad essere rock la musica di Vasco) che finalmente trova il suo abitat naturale.

Non possiamo però ignorare che siamo di fronte  ad un arco temporale molto ampio, il mio punto di vista potrebbe far pensare che Mogol e Donida avessero scritto una canzone in anticipo sul tempo, ma è altresì fondamentale considerare che il nostro vissuto e il nostro contemporaneo hanno intrapreso una strada diversa da quella che, per chi c’era, veniva percorsa negli anni settanta.

Inoltre devono essere presi in considerazione i gusti personali, le simpatie per i vari interpreti (anche se queste ultime, per quanto mi riguarda, non influiscono minimamente sul giudizio) e gli stati d'animo del momento in cui ascoltiamo il brano, indipendentemente da chi lo propone.

Qualcuno dirà che in fondo si tratta solo di canzoni ma, come in ogni altro ambito artistico, fermarsi al primo ascolto potrebbe essere un’occasione persa.






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