Il titolo riassume perfettamente l’essenza dell’opera, ispirato al celebre Angelus di Jean- Francois Millet (di cui ho parlato qui in un post di qualche tempo fa) il dipinto di Dalí ne fa una narrazione antica, un ricordo perso nei meandri del tempo ma che rivive in una costruzione che resiste nonostante tutto.
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Salvador Dalí - Reminiscenze archeologiche dell'Angelus di Millet, 1934 - Olio su tavola31 x 39 cm. "Museo Salvador Dalí", St. Petersburg (Florida) |
Quattro minuscole figure, due al
centro in basso, altrettante a destra, sembrano visitare un sito archeologico
dove vi è riposto un concetto caro al pittore spagnolo ed estraneo all’artista
francese autore dell’originale.
Le due torri prendono le sembianze
dei contadini di Millet ma la figura femminile si innalza su quella maschile, anche
se il capo chinato cerca un equilibrio che è solo apparente.
Per alcuni la donna prende le sembianze
di una mantide religiosa, il pensiero, che non è evidentissimo, potrebbe essere
influenzato dall’idea che Dalí aveva dell’equilibrio instabile nella coppia. Il
pittore “sentiva” la figura femminile come quella dominante ma non solo, la donna
era una minaccia sessuale, da qui l’idea della mantide religiosa.
Dalí stesso affermò che l’arte di
Millet era a sua volta la rappresentazione della repressione sessuale, il timore
della supremazia femminile in contrapposizione all’impotenza maschile.
Non possiamo certo ignorare tutto
ciò, d’altro canto l’autore del dipinto è lui e prenderlo in considerazione ignorando
le informazioni che ci sono fornite sarebbe arbitrario.
Possiamo provare ad essere meno “corretti”
e affrontiamo l’opera ignorando tutto il resto, le quattro piccole figure
osservano il passato, o quello che ne resta cercando di immaginare quello che
non c’è più, la trasformazione di un pensiero intimo, quello emerso dal dipinto
di Millet, in un vuoto guscio perso nel passato, simulacro che sopravvive a sé stesso,
destinato ad essere dimenticato.