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Ti racconto una storia ... musicale

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La narrazione in un brano spesso scaturisce dal testo, sono molteplici i casi dove ad accompagnare la melodia appare lo “scritto” che da vita ad un autentico racconto.


Ma con Telegraph road, brano del 1982, contenuto nell’album Lover over gold, i Dire Straits danno vita ad un pezzo che, pur non essendo la loro opera più celebre, è, secondo me, il brano più “alto” che abbiano realizzato.

Torniamo alla narrazione ma andiamo oltre il testo (a seguire vi propongo una traduzione) e concentriamoci sulla musica, penso che sia qui che la già citata “narrazione” prende vita con sembianze diverse, il  corpo musicale è una storia, un magnifico percorso che si snoda tra le variazioni di ritmo, tra i saliscendi musicali dove il suono intenso e “pulito” delle percussioni di Pick Withers (che a breve lascerà il gruppo) accompagna, o guida, gli altri strumenti fino ai favolosi assoli di chitarra di Mark Knofler alle "incursioni delle tastiere di Alan Clark.

Il brano è particolarmente lungo, poco più di 14 minuti, e può scoraggiare un ascoltatore abituato alla frenesia, anche musicale, che ha contaminato il nostro tempo, ma se abbiamo un po’ di pazienza ci accorgiamo  che il racconto (musicale) si sviluppa col passare dei minuti fino all’epilogo che ci lascia senza fiato, svuotati, senza energie.

L’effetto naturalmente non è scontato, le possibilità di non provare, non notare, niente di simile sono molte, dopotutto l’arte, anche quella musicale, è soggettiva, non sempre si riesce a dare vita ad un confronto, non sempre avviene il contatto.

 

La strada del telegrafo

Molto tempo fa arrivò un uomo su un sentiero
camminando per trenta miglia, con uno zaino in spalla
e mise a terra il suo bagaglio dove pensò che fosse un buon posto
costruì una casa in quel luogo selvaggio.

 

Costruì una capanna e la adatto per affrontare l’inverno
e arò il terreno lungo la gelida riva del lago
e altri viaggiatori giunsero cavalcando lungo il sentiero
e non andarono oltre, e non tornarono indietro.


Poi arrivarono le chiese, poi arrivarono le scuole
poi arrivarono gli avvocati, e poi arrivarono le regole
poi arrivarono i treni e i camion con i loro carichi
e il vecchio sentiero polveroso divenne la via del telegrafo.

 

Poi arrivarono le miniere, poi vennero i minerali da estrarre
poi ci furono i tempi duri, e poi ci fu una guerra
il telegrafo cantava una canzone sul mondo là fuori
la via del telegrafo diventava così profonda e ampia come un fiume impetuoso.

 

E la mia radio dice che stanotte gelerà
la gente guida verso casa dalle fabbriche
ci sono sei corsie di traffico

tre si muovono lentamente.

 

Mi piaceva andare al lavoro, ma l’hanno chiuso
ho il diritto di andare al lavoro
ma non c’è lavoro da trovare, qui
sì, e dicono che dovremo pagare quanto dobbiamo.


Dovremo raccogliere i frutti dei semi che sono stati seminati
e gli uccelli lassù sui fili ed i pali del telegrafo
possono sempre volar via da questa pioggia e da questo freddo
puoi sentirli cantare il loro codice telegrafico, per tutta la strada lungo la via del telegrafo.

 

Sai, potrei dimenticare presto, ma ricordo quelle notti
quando la vita era solo una scommessa su una corsa fra le luci
poggiavi la testa sulla mia spalla
mi passavi una mano fra i capelli.


Ora ti comporti in modo un po’ più freddo
come se non te ne importasse
ma credi in me, tesoro, e ti porterò via
fuori da questa oscurità e dentro la luce del giorno.


Via da questi fiumi di fanali, questi fiumi di pioggia
via dalla rabbia che vive sulle strade con questi nomi
perché ho bruciato ogni semaforo rosso sul viale dei ricordi
ho visto la disperazione esplodere in fiamme e non voglio vederla di nuovo.


Via da tutti questi cartelli che dicono
– Spiacenti, siamo chiusi –

per tutta la strada lungo la via del telegrafo. 





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