La strana storia del pittore conosciuto da tutti e al contempo da nessuno.
Thomas Kinkade è forse l’artista, o per meglio dire pittore, contemporaneo più “venduto” di sempre, se il nome non ci dice nulla non possiamo dire la stessa cosa dei suoi quadri, stampe, puzzle, le immagini dei suoi dipinti le troviamo dappertutto, alcune stime dicono che in almeno una casa americana su venti è appeso un suo quadro (originale o molto più probabilmente una riproduzione).
Se non ci sono dubbi sul suo successo commerciale non si può dire lo stesso riguardo all’aspetto puramente artistico, i paesaggi bucolici, dove regna una costante sensazione di pace e dove si percepisce un’immobile sospensione temporale non sembrano riuscire ad andare oltre.
E’ innegabile la piacevole reazione immediata davanti alle sue opere ma nonostante si cerchi di andare in profondità c’è qualcosa che ce lo impedisce, forse perché in fondo niente ce lo impedisce, non c’è una profondità, tutto è in superficie.
Che il kitsch possa essere arte non sarò certo io a confermarlo o a negarlo, per chi come me cerca ciò che sta nascosto in profondità e di conseguenza “trova” più valore di quanto possa averne ciò che appare, è difficile apprezzare oltre un certo punto questi quadri, non vi è traccia di narrazione, non ci sono possibilità di un confronto, non c’è comunicazione, i dipinti sono pura decorazione, forse è proprio per questo che li troviamo ovunque.
Kinkade lascia un qualsivoglia messaggio? Cerca il dialogo con lo spettatore attraverso i suoi lavori? O si limita a mostrarci una bellezza statica, seguendo determinati canoni estetici prevalentemente alla ricerca di un facile riconoscimento popolare?
Quale sia il motivo che spinge ad acquistare, e ad appendere alle pareti di casa, i quadri del pittore californiano possiamo immaginarlo ma non escludo che possiamo anche sbagliarci nel formulare una risposta, sicuramente un motivo, più o meno valido artisticamente c’è: i dipinti di Kinkade piacciono, il resto rischia di essere un’articolata introspezione che rischia di essere fine a sé stessa.
L’ultimo appunto va al talento del nostro Thomas, indipendentemente dalle “profondità” artistiche (fondamentalmente a chi interessano se non a pochi appassionati?) la tecnica è più che discreta, l’idea di bellezza “sognante” è ben presente, ciò che potremmo trovare oltre l’orizzonte estetico …
Nelle immagini dall’alto: A Peaceful Retreat, 2002 – Beacon of hope, 1994 – Christmas evening, 2005